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I mille giorni che cambiarono la pedagogia professionale

Era il 30 luglio 2013; la XVII legislatura era cominciata da pochi mesi. Segnalai al Presidente nazionale dell’Apei che una pedagogista emiliano-romagnola era stata eletta alla Camera. Il nome di questa professoressa della Cattolica all’epoca non ci era noto, al punto che nel registrare la notizia sul mio diario registravo che avevamo tenuto un incontro con “Wanda Iorio”, storpiandone il nome che sarebbe di lì a poco diventato così noto tra i pedagogisti e gli educatori sociali. Nel diario registrai di un colloquio cordiale incentrato sulla favola dell’educatore unico e sulla necessità di cristallizzare nella norma il doppio educatore per come si era andato strutturando nella realtà sociale.

Fu un colloquio – nella mia percezione – come tanti. L’attività politico – professionale che portavo all’epoca avanti come Apei ci porta ad incontrare tante persone, e non percepii che sarebbe potuto seguirne qualcosa di speciale. A quell’incontro erano presenti, oltre ad Alessandro Prisciandaro, l’allora presidente regionale dell’Apei Paolo De Leo e – naturalmente Vanna Iori.

Non è possibile dire – almeno sulla base degli elementi in mano a chi scrive – fino a che punto quell’incontro abbia avviato un processo o lo abbia catalizzato o se tutto sarebbe accaduto uguale senza quell’incontro.

Quello che è certo è che l’impianto di quella che sarebbe stata di lì a pochi mesi la Pdl Iori coincideva con la riflessione politico – professionale che era andata maturando dentro l’Apei, che sarebbe diventata con il tempo la (di gran lunga) la più grande associazione professionale tra quelle di pedagogisti ed educatori. 

La riflessione di tipo politico professionale che era maturata dentro l’Apei e che rinvenivamo dentro la legge era fondata su due assunti. Il primo: il pedagogista e l’educatore sono due professioni diverse, ma unite dal fatto di essere attività diverse della medesima funzione pedagogica: sono differenti, ma sono simili. Il secondo assunto era il seguente: la soluzione del problema del doppio educatore non poteva risiedere nell’unificazione dei due profili (la ‘favola’ dell’educatore unico), ma piuttosto nel sancire la separazione dei due percorsi di educatore.

Quando avevamo cominciato il percorso politico – professionale dell’Apei questa impostazione era assolutamente minoritaria: i primi video che si trovano sul mio canale Youtube PedagogikaTv risalgono agli inizi degli anni 2000 e raccontano di come vedevamo l’educa unico: una presa in giro per educatori e pedagogisti.

Avevamo maturato l’idea che l’educatore unico non fosse la soluzione. Non era la soluzione perché sul piano scientifico – professionale ricondurre tutto all’educatore 520/98 avrebbe sancito una sudditanza dalle scienze mediche che avrebbe ucciso la professione per come avevamo imparato a conoscerla. Ma – ancora di più – non poteva essere la soluzione per una considerazione banale e concreta: chiudere la laurea in scienze dell’educazione, decuplicare le lauree sanitarie e produrre l’equivalenza dei due profili non era una serie di eventi che si sarebbero potuti ottenere in un paese bloccato come il nostro prima di venti anni: come faccio a far mangiare la mia famiglia nel frattempo che questo fantasioso progetto politico – professionale si realizza? In altre parole, prima ancora dell’amore per la pedagogia era la constatazione della realtà a farci opporre all’educatore unico.

E la realtà, ancora una volta, ci ha dato ragione.

Dopo qualche mese dall’incontro – il 7 ottobre dello stesso anno – si sarebbe aperta la fase (entusiasmante!) della approvazione della Legge, fino allo stallo del dicembre del 2017 e alla soluzione “di ripiego” che è diventata lo statuto delle professioni pedagogiche, contenuto nei commi da 594 a 601 dell’articolo 1 della Legge 205 del 2017.

Quei mille giorni hanno cambiato il volto delle professioni sociali, come si è mostrato in questo volume.

La rappresentazione più plastica di tale radicale transizione è il comunicato dell’Ordine degli Psicologi all’indomani della approvazione dell’emendamento Boccia alla Legge di bilancio che riproponeva i contenuti della Legge Iori arenatasi al Senato. L’Ordine degli psicologi rivendicava che “le attività proprie dell’educatore trovano ad oggi ampia congruenza e affinità rispetto alle competenze attribuite allo psicologo iscritto all’albo B” e pertanto – secondo l’ordine non vi sarebbe stata “alcuna motivazione scientifica alla base dell’esclusione che comportano questi emendamenti”; modifica che l’ordine giudicava “uno schiaffo in faccia all’intera comunità professionale”; annunciando che se la legge non fosse stata modificata l’ordine si sarebbe avvalso di “tutte le azioni a tutela della comunità professionale, ivi inclusi gli strumenti di tutela giurisdizionale di fronti a giurisdizioni nazionali e sovranazionali”. Quella presa di posizione rappresenta meglio di qualunque altra la fatica che quel processo aveva determinato.

La posizione dell’Ordine degli psicologi era tanto violenta quanto isolata: in favore della Pdl Iori e del testo che sarebbe diventato lo statuto della professione degli educatori e dei pedagogisti si erano espressi -per citarne qualcuno- l’ordine degli assistenti sociali, il Cnca, la Siped (la Società di pedagogisti accademici), le tre principali centrali cooperative, il giornale della Conferenza Episcopale.

Il percorso alla Camera della Pdl Iori non era stato breve. L’approvazione in aula a Montecitorio era avvenuta 3 anni dopo quel primo incontro con Vanna Iori, il 21 giugno 2016 con votazione nominale a scrutinio simultaneo con 263 voti favorevoli, 2 contrari e 134 astenuti ed era stato trattato congiuntamente ad una pdl di pari tema a prima firma Paola Binetti (AC3247).

Il voto in commissione era stato unanime. Per quanto il percorso di una norma di iniziativa parlamentare nel nostro ordinamento sia molto complesso, il passaggio alla Camera dei deputati ci aveva lasciato ben sperare, mentre il percorso della Pdl al Senato non sarebbe stato altrettanto agile. Al Senato il provvedimento era stato assegnato alla VII commissione cultura in sede referente il 6 luglio 2016. Il 12 settembre le associazioni di pedagogisti e di educatori in maniera congiunta proponevano un invio coordinato di mail ai Senatori della commissione per chiedere di far ripartire l’iter della pdl, come effettivamente accadde di lì a poco, con l’avvio delle audizioni preliminari che proseguirono fino a novembre dello stesso anno. Poi nulla. A gennaio del 2017 non si aveva notizia di nuovi passaggi del provvedimento e l’Apei promosse un nuovo invio massivo di mail tra i propri soci; il mail bombing ebbe inizio nella prima settimana di gennaio e chiedeva di sbloccare il provvedimento, che sembrava arenato.

Pochi giorni dopo, il 31 gennaio veniva fissato il termine per la presentazione degli emendamenti per il 26 gennaio, successivamente prorogato al 2 febbraio. La lettura degli emendamenti fu una doccia fredda. Gli emendamenti del relatore di un provvedimento sono solitamente più ‘pesanti’ di quelli presentati dai colleghi della commissione o dell’aula, perché normalmente si tratta di emendamenti su cui la maggioranza ha deciso di convergere, ed è molto difficile che possano essere modificati senza il suo consenso. Le modifiche al testo passato alla Camera proposte dalla relatrice in commissione al Senato Puglisi erano a giudizio dell’Apei pesantemente peggiorative: veniva modificato il requisito di accesso alla professione, che veniva aperto a psicologi e laureati in scienze della formazione primaria (anche se in maniera differenziata rispetto alla laurea in scienze dell’educazione) e venivano ampliate le modalità per l’ottenimento della sanatoria. Si modificava, cioè, in maniera radicale il volto delle professioni pedagogiche.

L’emendamento Puglisi aveva aperto un dibattito dentro il mondo della pedagogia professionale. Da un lato c’erano coloro che ritenevano che il testo approvato alla Camera per come sarebbe stato modificato dall’emendamento Puglisi avrebbe determinato un cambiamento radicale e non reversibile della professione, che avrebbe cambiato artificialmente ope legis la fisionomia delle professioni di pedagogista e di educatore. Dall’altro lato c’erano coloro – tra cui chi scrive – che, pur ammettendo i limiti della normativa per come si apprestava ad essere approvata, ritenevano che mai più si sarebbe presentata l’occasione della approvazione di una legge che riconoscesse pedagogisti ed educatori e mettesse fine al piano inclinato che era stato avviato dalla introduzione del Dm 520/98.

Il dibattito che si consumò in quei mesi nell’Apei lacerò il nostro tessuto associativo: le alternative erano: affossare la proposta di legge per come si stava definendo, dichiarando chiaramente che il testo che sarebbe uscito dalla commissione una volta approvati gli emendamenti della relatrice era pessimo, o spingere con tutte le nostre forze perché un testo che giudicavamo pessimo ricominciasse a camminare.

La scelta era di quelle che spaccano il cuore a metà. Sapevamo che difficilmente un iter così difficile come quello della Pdl Iori sarebbe ripartito, perché avrebbe incontrato spinte corporative molto più robuste ed organizzate, e non sapevamo – potevamo solo sperarlo– che nella successiva legislatura avremmo avuto dei parlamentari decisi a intestarsi la nostra causa.

Insomma, eravamo consapevoli che forse rinunciando ‘per il momento’ al risultato, ci avremmo rinunciato ‘per sempre’. E alcuni di noi ritenevano che l’esigenza di preservare l’approccio pedagogico dall’approccio psicologico e psichiatrico giustificasse anche la rinuncia al progetto. Tentammo una disperata operazione di mediazione. Nei giorni della pubblicazione degli emendamenti Alessandro Prisciandaro, presidente nazionale dell’Apei, scriveva alla senatrice Puglisi chiedendo un incontro e manifestando la contrarietà dell’Apei al testo coordinato con  suoi emendamenti. Quell’incontro ci fu il successivo 23 febbraio, ma senza ottenere risultati significativi. Erano presenti Alessandro Prisciandaro, Stefania Coti (poi divenuta nel frattempo vicepresidente nazionale) e Gianvincenzo Nicodemo.

Nella riunione del consiglio nazionale dell’Apei che si tenne la sera stessa coloro che avevano partecipato alla riunione riferivano di essere stati trattati frettolosamente. La percezione fu dell’assenza di una vera di dialogo da parte della relatrice, che argomentava di aver mediato con quegli emendamenti tra le posizioni sociali in campo (essenzialmente il mondo della pedagogia professionale da una parte e l’ordine degli psicologi dall’altra). In sostanza la relatrice riteneva che, dato che gli psicologi avevano chiesto di poter esercitare la professione con la sola iscrizione dell’albo B, consentirgli di accedere alla qualifica con un solo anno aggiuntivo dopo la laurea sarebbe stata una giusta contemperazione degli interessi in gioco.

La situazione sembrò essersi impantanata in un modo difficilmente solubile. L’unica strada possibile perché il provvedimento venisse approvato era l’approvazione degli emendamenti della relatrice, ma quegli emendamenti apparivano alla principale delle associazioni professionali inaccettabili; il tentativo di mediazione fatto dall’Apei con la senatrice Puglisi non aveva prodotto risultati

Dalla ripresa dopo la pausa estiva ormai incombeva il termine della Legislatura (le elezioni si sarebbero poi tenute il 4 marzo 2018 e di fatto dopo dicembre l’attività legislativa sarebbe stata sospesa).

Quando nel mese di ottobre 2017 si riaprirono le sedute della commissione e furono fissati i termini dei subemendamenti dovemmo presto renderci conto che questo dibattito avrebbe dovuto essere presto essere archiviato, perché ben presto arrivò la bocciatura della Commissione Bilancio agli emendamenti della relatrice. La commissione V Bilancio aveva dato parere negativo agli emendamenti Puglisi su proposta del presidente della commissione Silvio Lai. 

A quel punto il blocco diveniva definitivo: la maggioranza in commissione non avrebbe mai votato contro l’emendamento della sua stessa relatrice, né al contrario avrebbe potuto votare favorevolmente gli emendamenti andando contro il parere della commissione bilancio. L’unica possibilità era che la relatrice Puglisi ritirasse gli emendamenti. Il 17 novembre il consigliere nazionale Ermanno Tarracchini incontrava il segretario del Partito Democratico Renzi consegnargli migliaia di firme a sostengo della legge.

In quegli stessi giorni maturammo l’idea di organizzare una manifestazione di piazza: era certamente una operazione rischiosa perché difficilmente saremmo stati molti in piazza.

Il 28 novembre interveniva la stessa senatrice Puglisi al programma Signore e signori, il welfare è sparito su Radio Kairos, annunciando che avrebbe ritirato gli emendamenti qualora fosse stato verificato che la commissione bilancio non avrebbe approvato il provvedimento.

Quella settimana aveva visto moltiplicate le azioni di pressione sui diversi rappresentanti istituzionali coinvolti.

Oltre alle tante prese di posizione dei soggetti sociali coinvolti, 30 novembre appariva con richiamo in prima pagina di Avvenire un articolo a firma del responsabile del servizio di pastorale giovanile a difesa della Legge Iori. Una presa di posizione pesante, che mostrava come anche la Chiesa italiana guardava con attenzione quel processo.

Riprendemmo fiducia. Potevamo farcela. La sera dello stesso giorno Francesca Puglisi pubblicava sulla propria pagina Facebook l ’annuncio che avrebbe ritirato i propri emendamenti “seppure presentati in accordo con la prima firmataria on. Vanna Iori e con i dipartimenti di Scienze della formazione”, aggiungendo che “i ritardi nelle votazioni non sono stati causati dalla Commissione Cultura del Senato, tanto meno dalla sottoscritta, ma dai pareri contrari dati per ben due volte dal MEF alla relazione tecnica di passaggio sul testo Camera”. Puglisi terminava: “vista la rilevanza del tema, penso sia meglio un testo imperfetto, che nessuna legge”.

Quel convulso mese di novembre vide anche la fuga in avanti dell’Apei. Sono testimone del fatto che, dopo mesi in cui molti di noi nell’Apei –io personalmente con particolare forza – chiedevano un momento di visibilità pubblica, Alessandro Prisciandaro all’improvviso maturò il convincimento che era il momento di scendere in piazza.

Alessandro è così. Ci discuti per mesi e poi all’improvviso parte. Ma quando parte è un treno, e non lo riesci a fermare.

Tentammo di coinvolgere dentro l’idea l’iniziativa di piazza anche le altre associazioni professionali, ed in effetti il volantino della manifestazione che facemmo girare sui social fu firmato congiuntamente da Aspei, Anpe Apei, Siped, App e Pedias, ma in piazza che io ricordi c’era una presenza di rappresentanti dell’Anpe ed esponenti del mondo accademico della Siped.

Il 4 dicembre ’17 è una data che resterà nella memoria collettiva dei pedagogisti e degli educatori molto a lungo. Il 4 dicembre 2017, per la prima volta nella storia recente le principali sigle di rappresentanza dell’associazionismo pedagogico e accademico si sono date appuntamento in piazza per chiedere l’approvazione della Pdl Iori, che da un anno giaceva in commissione al Senato.

Quella manifestazione pubblica ha sancito un importante momento di presa di coscienza del mondo dei pedagogisti e egli educatori, e ha aperto un mese, quello di dicembre 2017, che ha visto pedagogisti ed educatori uniti al fine di ottenere l’approvazione dell’emendamento Boccia alla Legge finanziaria, che, ricalcando il contenuto della legge Iori, ha determinato l’introduzione nel nostro ordinamento, di un riconoscimento professionale alla professione svolta dai laureati in scienze dell’educazione.

In primo luogo eravamo presenti, tutte le generazioni coinvolte. Quando ho cominciato la mia azione di rappresentanza politico – professionale un grande movimento politico era possibile soltanto aggregando gli studenti. Oggi l’Apei è una associazione di studenti e professionisti. E in piazza, il 4 dicembre, c’erano tanti professionisti: persone di 30, 40, 50, 60 anni che chiedevano con forza l’approvazione della legge al Senato.

Questa trasversalità non era scontata. È difficilissimo muovere chi lavora: essendo un giorno feriale, molti di noi hanno dovuto chiedere una giornata di permesso per spostarsi da Napoli, Milano, Verona, Lecce, Bari, Taranto, Modena. Reggio Calabria, Palermo.

Certo, la motivazione forte ha aggregato, ma è riuscita ad essere aggregate in virtù di una coscienza di ceto sociale che si è andata generando in questi anni di impegno politico – professionale.

In secondo luogo, eravamo presenti, tutto il mondo della rappresentanza. C’erano gli studenti -che avevano organizzato un seminario all’università, c’era il mondo dei docenti universitari.

Una delle cose che più mi lasciarono stupito quando mi introdussi ad un percorso universitario di scienze dell’educazione era la bassissima consapevolezza diffusa da parte degli studenti su dove si trovassero e su quale ruolo sociale stessero andando a ricoprire. La medesima ignoranza era presente tra i docenti universitari: nessuno aveva una idea precisa su cosa fossero l’educatore e il pedagogista. Ma quello che più mi stupì nell’affacciarmi al mondo della professione era che lo stesso mondo dei professionisti viveva di questa mancanza di identità. Mi apparve, quindi, subito evidente come non era possibile ottenere un riconoscimento normativo della professione senza essere professione, senza essere corpo sociale.

In terzo luogo, eravamo presenti con dei rappresentanti istituzionali. Non mi pare secondario che fossero presenti in piazza una parlamentare e una senatrice, una della maggioranza e una dell’opposizione; che l’onorevole Iori ci seguiva a stretto contatto a distanza e che con un ulteriore deputato avevamo appuntamento quello stessa mattina. Quel 4 dicembre ci diede la carica per lo sprint finale che ci aspettava nelle settimane successive.

Quella proposta di legge, infatti, non fu mai approvata. Il ritiro degli emendamenti da parte della relatrice era arrivato in un momento in cui non c’era più oggettivamente il tempo per approvare in commissione e in aula in testo; restava una strada parlamentare, ma si trattava di una strada stretta: ottenere l’approvazione in deliberativa del testo da parte della commissione. Perché la VII commissione approvasse in deliberativa servivano però due cose. Serviva l’assenso di tutti i gruppi presenti in commissione (ottenuto) e serviva il nulla osta del Governo (che non arrivò). L’onorevole Iori ci aveva fatto trapelare notizia del fatto di star lavorando ad un’ipotesi alternativa ed in effetti prima della sospensione della possibilità di legiferare delle Camere restava una sola carta da giocare: introdurre nella Legge Finanziaria in discussione alla Camera, un emendamento con i medesimi contenuti.

Eravamo stati informati che questo tentativo stava per essere esperito. Ed in effetti il 19 dicembre dal proprio profilo Facebook Milena Santerini pubblicava il testo dell’emendamento 53.61 presentato dal relatore della finanziaria, il presidente della Commissione Bilancio Boccia.

Al leggere l’emendamento avemmo un sussulto. Ci accorgemmo all’improvviso che quel testo conteneva evidentemente un errore: non faceva riferimento alla laurea in scienze dell’educazione ed attribuiva la qualifica di educatore professionale sociopedagogico “ai sensi delle disposizioni di cui al decreto legislativo 13 aprile 2017 n.65”.

In altre parole, La qualifica di educatore professionale soociopedagogico quindi era vincolata a quella di educatore per i servizi educativi per l’infanzia, con accesso quindi dalle lauree in scienze dell’educazione e da quella in scienze della formazione primaria.

Chiamammo Iori. In un primo momento ci riferì che non si poteva modificare quella situazione; poi si aprì la strada del subemendamento, sempre a firma Boccia, che rimise le cose a posto precisando che alla qualifica si accede con Laurea L19 secondo il Dlgs 65/2017.

Il mese di dicembre e il successivo mese di gennaio furono mesi di festeggiamenti. Organizzammo ovunque brindisi in Italia e inondammo i social dei nostri festeggiamenti.  

Si trattava di un risultato epocale ma era pur sempre un risultato parziale, perché il testo confluito nella Legge 205 non prevedeva tra gli ambiti di attività il sociosanitario e il sanitario, aspetto questo che sarebbe stato sanato con la successiva Finanziaria, la legge 145/2018 che introdusse, tra gli ambiti di attività di educatori professionale socio – pedagogici e pedagogisti “servizi e […] presidi sociosanitari e della salute limitatamente agli aspetti socioeducativi”.


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