Quello che è certo è che qualcosa cambierà. E cambierà in maniera – se non permanente – di lunga durata.
Perché non basterà contenere il diffondersi dell’epidemia: il virus resta lì, e aspetta solo che usciamo di casa.
Le autorità stanno cercando di contenere il danno per il sistema sanitario e l’esplosione del numero di morti, e forse ci stanno riuscendo per buona parte d’Italia; dal canto nostro, noi che non abbiamo responsabilità pubbliche usiamo il tempo per immaginare – e costruire – il futuro.
Per cortesia, niente pensiero magico: del tipo “andrà tutto bene”. Andrà tutto bene un cazzo, muoiono 600 persone al giorno, interi paesini si sono decimati e moriranno migliaia e migliaia di persone ancora. Interi territori per decenni necessiteranno di riprendersi dallo shock e ragioneranno di “prima” e “dopo” l’infezione come si dice “prima” e “dopo” del terremoto dell’Irpinia.
Bisogna che ci ripensiamo come professionisti dell’educazione: educatori, pedagogisti, consulenti, coordinatori e organizzatori dei servizi educativi, sociali o sociosanitari. Bisogna che facciamo lo sforzo di declinare al futuro noi, i nostri servizi, i nostri utenti e i professionisti con cui ci relazioniamo.
Lo scenario più probabile è che le scuole non riaprano e che restino chiuse per mesi fino quasi all’estate. In ogni caso per tutto il 2020 e fino alla comparsa di una terapia risolutiva o di un vaccino ci toccheranno misure di distanziamento sociale e chiusure (alternate a riaperture a quanto sembra intuire) delle scuole e dei servizi sociali e sociosanitari fino a quarantene forzate come quella che stiamo vivendo.
E’ plausibile che nei servizi saremo tenuti ad utilizzare dispositivi di protezione individuale. Cosa possa possa voler dire questo sulle relazioni è un interrogativo cui è difficile rispondere. Dovremo imparare a gestire la relazione dentro questa bolla allargata determinata dalla protezione dal contagio.
Quale effetto questi strumenti abbiano sulla relazione con l’utente è un interrogativo cui è oggettivamente difficile rispondere, ed è difficile immaginare che protetti come se si fosse in una zona contaminata la relazione non abbia contraccolpi e si svolga come se i dispositivi di protezione individuale non ci fossero. Bisogna aprire una riflessione su questo nuovo contesto in cui esercitare professionalità.
Presidi, battete un colpo. Non siete solo il direttore del personale, non siete solo il presidio degli strumenti economici ed organizzativi. Siete anche e in primo luogo il riferimento scientifico della qualità dell’istruzione dell’istituzione scolastica che dirigete. Serve che facciate qualcosa in più che diramare una circolare, che la comunità scolastica si interroghi su come assolvere il proprio compito dentro questo contesto mutato e il presidio di questo è prima di tutto dei dirigenti scolastici.
Lo stesso contenimento forzato in casa – che non è finito e non è impossibile che si ripeta – non può che avere conseguenze: per tanti è un’opportunità di rallentare i ritmi e per gustarsi le relazioni familiari, ma per tanti altri produce certamente frizioni e frustrazioni poco tollerabili. Bisogna aiutarci in una relazione educativa a vivere dentro questo nuovo contesto e imparare a gestire il contenimento e le nuove limitazioni, che producono fatica e frustrazione. Diventa essenziale aprire ad un’educazione all’affettività, che è un bisogno pienamente pedagogico e al quale anche in tempi di contenimento delle opportunità di contagio è necessario dare risposte.
C’è una sfida educativa in ogni tempo, e la sfida educativa del tempo presente ci chiama ad attraversare l’epidemia di questi giorni e a vivere i cambiamenti che determinerà